INTERVISTE / INTERVIEWS

TRA LE PIEGHE DEL DUBBIO

Intervista a cura di Beatrice Audrito

 

Nonostante la tua formazione prettamente pittorica, nel 1994 decidi di abbandonare la pittura tradizionale ponendo sottovuoto gli strumenti del pittore, la tela, i pennelli e le pezze sporche intrise di pigmento. È la morte della pittura. Un atto estremo che congela e sigilla “sotto plastica” la tua indagine precedente, quasi rinnegandola. Cosa ti ha spinto tanto in là?

Non ho mai rinnegato la pittura, anzi, vedo, penso, immagino gli oggetti sempre pittoricamente. Certo, la pittura intesa come pratica tradizionale l’ho abbandonata, ma questo non vuol dire che se domani dovessi avere un’idea, non tonerei ad impugnare i pennelli di nuovo. Il mio è stato un passaggio figurato dal diacronico al sincronico. Quando nel 1994, duchampianamente, decisi di fermarmi con la pittura è perché non volevo continuare a masticare ciò che era già stato rimasticato per enne volte. Non avevo idee che mi soddisfacevano, non ero appagato da quegli sforzi, non mi vedevo riflesso in una parodia. Avevo il contrario in corpo. Dovevo necessariamente ingoiare... Continua a leggere...

 

NELLA TORRE DELLE DOMANDE

Intervista a cura di Miriam Di Francesco

 

La prima termoformatura di Gino Sabatini Odoardi risale alla sua nascita. 

A caldo, risucchiato dell’aria, compresso, dilatato, ha fatto la sua prima apparizione nel silenzio. Più vicino alla morte che alla vita, Gino è partito dal sottovuoto.

La sua seconda termoformatura risale all’età di dieci anni, quando si imbatte nello studio di un giovane pittore, studente dell’Accademia di Brera. Si siede al suo fianco e mette sottovuoto anche quel momento.

Se avesse potuto, Gino avrebbe termoformato persino il bacio dato all’opera di Salvador Dalì, Allucinazione parziale: sei apparizioni di Lenin su un grande piano, nel Museo George Pompidou di Parigi. Invece ne ricava uno scampato arresto, l’istantanea del momento, l’incipit di una... Continua a leggere

PROVA GENERALE

Intervista a cura di Beatrice Audrito

 

Con la mostra Prova generale Senza Titolo, a cura di Enzo De Leonibus, presso il Museo Laboratorio Ex Manifattura Tabacchi di Città Sant’Angelo (PE), Gino Sabatini Odoardi espone un lavoro inedito di cui aveva da tempo l’esigenza di dare corpo. Uno spazio fisico dove presentare finalmente la complessa installazione progettata nel 2017 per il Drawing Lab del Centre d’Art dédié au dessin contemporain di Parigi, anticipando con questa “prova generale” ulteriori declinazioni. Com’è nato questo progetto e com’è concepita l’installazione esposta al Museo Laboratorio?

Il progetto è nato come conseguenza di un maturato interesse per il panneggio e precisamente dalla mia personale alla galleria Gowen Contemporary di Ginevra nel 2013. Questa idea, in qualche modo, ne sviluppa ulteriori coniugazioni. 

Il lavoro si sviluppa mediante reticolati di linee in acciaio, delineati da carrucole che sospendono a mezz’aria quattordici secchi in metallo... Continua a leggere...

PIEGHE E POLVERE

Intervista a cura di Maria Savarese

 

Se dovessi dare una definizione di Napoli in una sola parola, quale sceglieresti e perché?

Viva e rovinata allo stesso tempo. È la terra delle cose fatte fino ad un certo punto. La produttività può essere fatale come l'inerzia. Tutto è bello, orrendo e in disordine, niente funziona bene tranne il passato. Ciò nonostante Napoli è una grande capitale, ed ha una stupefacente capacità di resistere alla paccottiglia kitsch da cui è oberata, una straordinaria possibilità di essere continuamente altro rispetto agli insopportabili stereotipi che la affliggono. Affermava Goethe nel 1817: “A Napoli ognuno vive in una inebriata dimenticanza di sé. Accade lo stesso anche per me. Mi riconosco appena e mi sembra di essere del tutto un altro uomo”.

 

I tuoi maestri: sei stato per anni accanto a Fabio Mauri e per un breve periodo a Jannis Kounellis. Quale insegnamento ti hanno... Continua a leggere...

POSTUMO AL NULLA

Intervista a cura di Angelandreina Rorro

 

Angelandreina Rorro: Caro Gino, questo catalogo che arriva “nel mezzo del cammino”, in un tempo di bilanci, di assestamenti e di nuovi progetti è l’occasione per conoscerti e per farti conoscere meglio. Ho pensato quindi di iniziare questa nostra conversazione dalle tue origini. Parlami del piccolo Gino, dei suoi sogni e dei suoi bisogni, di quando ha cominciato a sentire di volersi esprimere con i mezzi dell’arte.

Gino Sabatini Odoardi: Non ricordo chi sostenne che le origini non sono mai belle e che la vera bellezza è alla fine delle cose. Allora, dalla “selva oscura” inizio dalle cose non belle, cioè dalla nascita. Forse ho iniziato subito, la mia prima forma d’espressione è stato il silenzio. C'è voluto l’agguato presuntuoso di un forcipe per sradicarmi dall’altrove. Appena venuto alla luce - mi ricordano in famiglia - nessun pianto di sana e robusta costituzione mi ha accompagnato uscendo dall’amniotico. Sono stato subito consegnato al buio del pre-coma e solo una pronta rianimazione mi ha riportato nel chiacchierato rumore del mondo. Nascere non è stato un granché. Dunque, il silenzio è stato il mio primo svezzamento... Continua a leggere...

CONTROINDICAZIONI

Intervista a cura di Sabrina Vedovotto

 

Le interviste sono sempre interessanti se attraverso le parole fuoriescono segni evidenti di riconoscibilità dell’intervistato, che siano testimonianze del proprio lavoro o atteggiamenti della vita comune. Cominciamo allora.

 

Noi ci conosciamo ormai da un po’ di tempo, abbiamo realizzato diverse mostre insieme, a Roma e fuori. So quanto ti impegni nel tuo lavoro, la fatica che ti costa. Pensi di aver raggiunto un equilibrio, o devi ancora fare della strada per capire dove sei arrivato?

Non è sicuramente l’equilibrio la condizione a cui ambisco. La ricerca continua, incessante, di un certo in/equilibrio, di una certa forma di instabilità, è forse l’unico modo per capire da quale punto partire piuttosto che comprendere dove arrivare. È difficile parlare di equilibrio nell’arte, laddove per equilibrio non si intende quel meccanismo... Continua a leggere...

L'OSPITE, LA PIEGA, L'ENIGMA E IL SILENZIO

Intervista a cura di Helga Marsala

 

Partiamo dalla tecnica della Termoformatura, che dà il titolo al workshop e che contraddistingue la tua ricerca da molti anni. Si tratta evidentemente di un processo tecnico funzionale a una ricerca teorica sul tempo, sulla memoria, sulla dialettica tra vita e morte. Dai primi esperimenti con i sacchetti sottovuoto, fino a quest’uso singolare della plastica, che diventa una seconda pelle con cui trasfigurare gli oggetti, mi pare si tratti sempre di un tentativo di cristallizzazione del reale: immortalarlo, per non farlo morire. E così restituirlo a una vita nuova. Qual è il tuo rapporto con questi concetti? Il flusso del tempo, la fine delle cose, la sfida del ricordo… L’arte è una maniera per mettere in salvo il mondo, attraverso la sua immagine?

Il rapporto è sempre forzatamente contraddittorio, purtroppo la realtà è molto triste, Un giorno ci ritroveremo tutti nella stessa posizione scomoda dietro una piccola parete di marmo. Il sole morirà disegnando una brillante nebulosa planetaria e la terra si dissolverà in particelle elementari...  Continua a leggere...

PIEGHE E POLVERE

Intervista a cura di Anita Pepe

 

Partiamo con una consonante: pieghe, polvere e...  quale potrebbe essere una terza “p”? 

Pietra.

 

Perché il cimitero? E con quale criterio sono state scelte le tombe degli uomini illustri?

Perché il cimitero è un osservatorio privilegiato che non può mentire. Il criterio della scelta è puramente casuale. Ho cercato, per quanto possibile, di diversificare le competenze di ogni singolo illustre che un tempo - a suo modo - fece grande la città di Napoli.

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TRA LE PIEGHE DEL BIANCO E DELLA POLVERE

Intervista a cura di Micole Imperiali

 

Il bianco domina gli oggetti su cui lavori, li possiede, privandoli della propria identità ripresentandoli in una serialità che appare come una sorta di trasfigurazione, che dà loro nuove sembianze e sostanza rinnovata attraverso la termoformatura. Ci parleresti della tua concezione alla base di questo processo, che si vede ad esempio in “Tra le pieghe”? (E qual è il ruolo del bicchiere che si cela ad esempio dietro i panni, l’anima semicelata che si lascia intravedere?)

La termoformatura mi da quella sedativa e momentanea illusione di consegnarsi ad un fantasma postumo in maniera indolore. Essa ha un meccanismo dal fascino irreversibile. Ha la grande proprietà di “freddare” l’oggetto, dandogli quella temporanea possibilità dopo l’inevitabile. Vivo la seduzione dell’attimo e la consapevolezza dell’imminente disfatta. E’ una delle mie tante “operazioni concepite postume”, dove tutto quanto è avvenire è già passato, che non è un cominciamento di qualcosa, ma è già l’immediato... Continua a leggere...

CONTROINDICAZIONI

Intervista a cura di Matilde Martinetti

 

Ritieni che il tuo luogo di provenienza abbia influito in qualche modo sul tuo lavoro? Che lo abbia condizionato e lo condizioni?

No! A patto che si tratti il no come se fosse qualcosa.

 

Lavori solitamente sullo slittamento tra Significante e Significato creando volutamente ambiguità concettuale: cosa ti affascina di questa scelta stridente? Ritieni che sia la formula più efficace per stimolare la coscienza critica dello spettatore?

 Il mio lavoro oscilla sull’”orlo” di più condizioni perché è il mondo stesso che ci dondola sopra. No c’è la messa in opera di una formula. Non esiste una strategia che serve a regolare stimolazioni prestabilite. Quando mi relaziono con il mondo, il primo spettatore sono io... Continua a leggere...

TRA LE PIEGHE IN AUTOCOLLOQUIO

Intervista in autocolloquio a cura di Domenico Scudero

 

È nel ripiegamento che trovo le ragioni del mio lavoro. 

 

Forse il significante è da ritrovare nella mia infanzia: provengo da una famiglia storica di tappezzieri e di conseguenza ho sempre avuto residenza stabile tra le pieghe monadiche di mia madre. L’odore e la seduzione tattile del velluto, del lino, del cotone o della seta hanno sempre giocato a scacchi con la mia forte immaginazione. Da bambino amavo costruire capanne con le stoffe in lavorazione, il panneggio era parte costitutiva dell’ornamento architettonico delle mie caverne.

 

Passarono anni di pittura ad olio sotto i ponti. Mi stancai. Duchampianamente nel 1994 disposi in una teca tutte le mie pezze sporche intrise di pittura utilizzate... Continua a leggere...

GINO SABATINI ODOARDI

Intervista a cura di Maria Crispal

 

Il silenzio è stato il tuo primo svezzamento espressivo. Disegnare era la sola cosa che t'importava davvero.

Se la vita è puro rumore tra due incomprensibili silenzi, quello prima di nascere e quello dopo la morte, allora voglio iniziare dalle origini del mio privato rumore. 

Nascere non è stato un granché. La mia prima forma espressiva è stata il silenzio. C'è voluto l’agguato arrogante di un forcipe per sradicarmi dall’altrove. Non ne volevo sapere di venire al mondo, e tuttavia, appena venuto alla luce, nessun pianto di sana e robusta costituzione mi ha accompagnato uscendo dall’amniotico. Sono stato subito consegnato al buio del pre-coma e solo una pronta rianimazione mi ha riportato nell’assordante rumore del mondo. Dunque, il silenzio è stato il mio primo svezzamento espressivo. Negli anni successivi, la memoria mi riporta al cestino dell’asilo pieno di fogli a quadretti e matite colorate. Non ricordo di aver mai sacrificato un solo centimetro quadrato di quel cestino per una merendina. Il cibo mi faceva schifo. Disegnare era la sola cosa che m’importava davvero... Continua a leggere...

SENZA TITOLO

Intervista a cura di Gaia Bobò

 

Come si colloca il fenomeno del "Senza Titolo" all’interno della sua produzione?

In che quantità è presente?

 

L’utilizzo del mio primo “Senza titolo” è riconducibile al 2004, anno in cui ho realizzato la mia prima termoformatura in polistirene (bicchiere su mensola). Da quell’anno, il mio lavoro è andato sempre più in una direzione sottrattiva. Togliere è stata una pratica che ho affinato maniacalmente. L’abdicazione alla titolazione ne è una logica conseguenza. Ciò che mostro non ha bisogno della stampella della parola, è già di per sé del tutto eloquente e soprattutto univoco. Conferma, appunto, che il contenuto è acquisibile (?) solo per via visiva e non allude a rimandi... Continua a leggere...

ARTE E FILOSOFIA NELL'OPERA DI FABIO MAURI

Intervista a cura di Silvia Sicilia

 

Vorrei iniziare con una domanda apparentemente semplice. Fabio Mauri ha insegnato per vent’anni Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Ricorda il vostro primo incontro? In Mauri vi era un’aura che coinvolgeva molti studenti, divenuti poi suoi assistenti in studio. Com’è stato per lei essere assistente di Fabio Mauri?

 

Conoscevo Fabio Mauri molto tempo prima di iscrivermi all’Accademia, la sua fama era ben nota anche al di fuori delle aule aquilane. Erano i primi anni ’90, ricordo benissimo il nostro primo incontro, arrivai in Accademia mezz’ora prima che si tenesse la (mia prima) lezione di Estetica. Emozionato come un bambino, mi posizionai in prima fila, quaderno alla mano e occhi spalancati nell’attesa del suo arrivo. L’aula era gremita, non c’erano più posti a sedere... Continua...

GINO SABATINI ODOARDI

Intervista a cura di Jolanda Ferrara

 

Come sta vivendo questo momento?

Con smarrimento consapevole. Non mi sono mai illuso, la specie ha le sue regole ed ignora ogni attitudine morale ed etica. Non c’è preghiera o religione che tenga, un virus non lo puoi rinchiudere allo zoo, livella orizzontalmente qualsiasi differenza sociale. Forse dobbiamo prendere coscienza che la sopravvivenza è l’eccezione, e la lotta per evitare l’estinzione la regola.

 

Anche il virus ha una sua natura estetica?

Certamente, un seduttivo frattale sferico della perequazione. Pur tuttavia, come teorizzò Adorno il compito dell'arte dovrebbe essere quello di introdurre l'oscuro... Continua a leggere...

GINO SABATINI ODOARDI

Intervista a cura di Antonello Rubini

 

Gino, ho visto giorni fa una tua recente opera, assai intensa, a Pescara, nella mostra “I Love Abruzzo”. Mi ha incuriosito il fatto che l’hai realizzata con la plastica. Come mai hai scelto tale materiale? Se non erro è per te un mezzo nuovo. 

In passato ho lavorato con la plastica. Se ben ricordi, i miei primi esperimenti con il “sottovuoto” risalgono ai primi anni ’90. In quegli anni usavo una plastica sottile e trasparente, mentre oggi (dopo una studio durato quasi 2 anni) sono giunto a questo nuovo materiale plastico, non sottile e non trasparente chiamato Polistirene e i cui primi esemplari sono stati  esposti ad “Artissima 12” a Torino, nel Novembre 2005. Scegliere il polistirene ha significato per me raggiungere una nuova idea di “plasticità”, di “volume” e soprattutto di colore. Desideravo da tempo un azzeramento cromatico. Sprofondare in un’idea di bianco mi ha garantito il privilegio dell’eccesso inverso al rumore retinico. Una mia personale risposta silenziosa al minestrone visivo del mondo... Continua a leggere...

L'ARTE DI FERMARE IL MONDO

Intervista a cura di Fabrizio Gentile

 

L’arte di fermare il mondo: le suggestive termoformature tra critica sociale e provocazione.

È l’uomo che plastifica gli oggetti. È il congelatore dell’esistente, colui che iberna in un momento eterno la quotidianità, astraendola dal contesto in cui siamo abituati a vederla. Gino Sabatini Odoardi è, a detta di molti esperti, una delle grandi rivelazioni della giovane arte contemporanea italiana. I suoi lavori che hanno entusiasmato la critica (e il pubblico, che lo segue fin dalla prima personale datata 1988) sono soprattutto quelli realizzati con la termoformatura in polistirene, una tecnica molto usata nel packaging commerciale, che consiste nel mettere un oggetto sottovuoto attraverso una copertura di plastica che aderisce alla forma dell’oggetto stesso.

Ho impiegato anni per ottenere ciò che volevo, spendendo di tasca mia un sacco di denaro. Mi sono rivolto alle fabbriche, è questo ha comportato... Continua a leggere...

LA POESIA CONTRO IL CAOS

Intervista a cura di Marco Tornar

 

L'esilio della cultura.

Mi chiedo: Cultura in esilio da cosa?

“Il braccio si muove senza sapere se è francese o americano”, affermava Marcel Duchamp in una famosa intervista del 1966, e poi aggiungeva: "alle conformazioni biologiche non importa nulla della nazionalità”. La cultura non ha bisogno di perimetri stantii per coltivare rotte esistenziali. Questo io penso. 

Ho sempre amato la cartina fisica del mondo senza tratteggi, e mai quella politica Il mondo naturale è colto, molto colto, come il caos. Un fischio, un libro, un quadro, un'idea senza circoscrizioni ne danno testimonianza. 

L'artista sovrastato dall’interrogativo capitale tenta di riflettere sulle ragioni minori del suo lavoro quotidiano...  Continua a leggere...

PLINIO DE MARTIIS, UN MIO BREVE RICORDO

A cura di Gino Sabatini Odoardi

 

Conobbi personalmente Plinio nell’Agosto del 1998 nella sua galleria “La Tartaruga” a Castelluccio di Pienza (vicino Siena). In quegli anni facevo l’assistente per Fabio Mauri insieme ad altri due miei amici artisti. Plinio, dopo aver inaugurato nella galleria toscana le collettive “Gli anni originali” e “Per il clima felice degli anni ‘60”, continuò con una bellissima retrospettiva a Piero Manzoni ed una personale a Jannis Kounellis. A settembre arrivò il turno della mostra di Fabio Mauri e fu in quell’occasione che avvenne il mio incontro seppur breve ma intenso con Plinio De Martiis. Lavorai nella sua galleria all’incirca dieci giorni.

L’ho conosciuto impaziente, fermo e cinico nelle decisioni, ma impaziente.

Le sue mani tradivano un certo nervosismo, lo sguardo no. Amava proferire a bassa voce ordini travestiti da consigli. Non amava essere contraddetto. Assistetti un paio di volte a densi scontri verbali con Fabio. L’uno voleva prevalere sull’altro. La spuntava quasi sempre Mauri... Continua...

LA MOSTRA CHE NON HO VISTO

A cura di Gianni Piacentini

 

Il pomeriggio del 23 aprile 1997 mi trovavo in un grande e minimale spazio bianco in Austria, esattamente a Klagenfurt. Non ero solo. Indossavo una camicia nera, fazzoletto azzurro, pantaloni grigioverde, anfibio nero e fez in testa. Mi posizionai su un grande tappeto su cui era raffigurata una svastica nera su fondo bianco e con voce decisa, iniziai un dibattito in tedesco sulla Mistica di Regime in onore di un generale tedesco di cera seduto in tribuna in mezzo a spettatori inconsapevoli. Subito dopo mi cambiai d’abito in un camerino retrostante, in meno di 5 minuti mi ritrovai di nuovo sul grande tappeto uncinato, con divisa da scherma, maschera e fioretto in pugno. Iniziai un combattimento sfiancante fino all’ultimo colpo contro un avversario di pari livello. Vinsi ai punti. Con la stessa rapidità mi cambiai di nuovo, nero vestito e con una grande bandiera in mano, intrapresi uno sbandieramento sincrono con l’aria pesante del luogo. L’esaltazione durò all’incirca 15 minuti, dopo i quali tornai a cambiarmi per l’ultima volta per indossare una monocroma divisa ginnica. Volteggiai sempre sulla stessa pedana rincorrendo un primato mai raggiunto... Continua...

SEMINARIA SOGNINTERRA

Intervista a cura di Mattia Biagetti

 

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?

Il passato è fondamentale, non è una cosa morta ma è la sostanza di cui è fatto il tempo. Guardarsi indietro fa male ai muscoli del collo. Spesso lo ricordiamo male, ma non è nient’altro che il futuro di ieri.

 

Quali sono gli elementi su cui vorresti/e lavorare ancora?

Non ho mai lavorato sugli elementi, ma sulle domande che non troveranno mai risposte.

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GINO SABATINI ODOARDI, L'ARTE E IL SILENZIO

Intervista a cura di Giulia Grilli

 

Appena rientrato dalla mostra internazionale "Tra le pieghe" alla Gowen Contemporary di Ginevra, Gino Sabatini Odoardi è un artista con l'agenda fitta d'impegni. Seduto davanti ad un bicchiere di spremuta d'arancia, sfoglia le pagine del suo volume "Postumo al nulla" per descrivere le opere di un ventennio. Sottolinea la necessità di scandagliare gli enigmi di un'esistenza incomprensibile, mentre il suo sguardo, a tratti malinconico, delinea la difficoltà di vivere in una società che, forse, non gli appartiene.

Nato a Pescara, classe 1968, presente alla Biennale di Venezia nel 2011, Gino Sabatini Odoardi viene affascinato dall'arte a soli dieci anni, dopo l'incontro con Antonio Capone, pittore e caro amico di famiglia. "Quando sono entrato nel suo studio ho capito subito quale sarebbe stata la mia vita" afferma raccontando i suoi esordi. "L'arte è necessità, e spiegare cosa ho sentito in quel luogo è impossibile. Ricordo che dentro quel mondo c'era la possibilità di sentirsi vivo, respiravo un'aria che fuori non c'era. E anche i silenzi facevano parte di quel sentire". Quest'artista misterioso, si contraddistingue per... Continua a leggere...