SIMONETTA LUX

"DIAGRAMMA DELLA SACRA VITA"

 

La questione della “trasformazione” di ciò che ci è dato in qualcos’altro, di ciò che siamo in ciò che non siamo, del persistere e dell’alterarsi, è (stato) al centro di ogni ossessione di pensiero contemporaneo. Tanto è vero che il giovane Carlo Emilio Gadda, sconosciuto ai più (salvo che ai luoghi della letteratura e della poesia più prestigiosi di allora), già ingegnere, nel 1931 rispondeva a un’inchiesta della rivista “Solaria” sulle nuove tendenze con un paradosso: ”Tendo al mio fine. Tendo a una brutale deformazione dei temi che il destino s’è creduto di proponermi come formate cose ed obbietti: come paragrafi immoti della sapiente sua legge”.

Tra l’abbandono alla recita del copione assegnatogli dal destino (fare l’ingegnere) e la testimonianza attraverso l’arte di poter conoscere e dire  (“le ragioni oscure e vivide della vita, la qual si devolve profonda: deformazione perenne, indagine, costruzione eroica”), Gadda trova il linguaggio: impasto deformante di strutture linguistiche e di parole, di gerghi  e echi letterari celati talvolta a lui stesso, secondo un procedimento creativo che incorpora una riflessione filosofica in atto.

La tensione di ricerca sabatini-odoardiana del sacro e il suo volgerla con leggerezza e con grottesco alleggerimento verso il basso è come la tensione  gaddiana, nel sistema mondo e nel sistema vita, tra “un certo persistere” di elementi ed il predominante divenire, divenire, divenire.

Un processo di degerarchizzazione che laicizza e restituisce  al gesto comune e alle memorie della cultura una nuova sacralità, una rigenerazione appunto attraverso i mezzi dell’arte che del sacro hanno la candida banalità.

Il bicchiere, invece del calice della santa Messa, il vino col suo impossibile piano liquido inclinato, il pane da spezzare come fetta integrale muffa, i bellissimi disegni di progetto come sistemi di visualizzazione del miracolo inavveniente, la mano non con le stimmate ma col tatuaggio di figurine après Tiziano, la parete programmata con la sequenza triadica di calici di rosso sangue, sono tutti luoghi comuni della vita quotidiana e della storia, dove il vetraccio si combina eccellentemente con gli acromes introiettati di Piero Manzoni  e la pratica meticcia del tatuaggio con il ricordo di certe proiezioni di Jancso/Mauri/Pasolini. Tutto questo intravedibile, quasi invisibile, di certo non citato.

Voglio dire che non può non attirarci uno spessore di intelligenza e di malcelata apparizione della propria alterità, costruita - si da sé (forse in parte sans le savoir) appunto con un gioco di specchi e riflessi: l’infinito, appunto.

Mi ha riportato dunque a Gadda tutto un insieme di elementi eclatanti, e nascosti al contempo, che vedi subito nell’opera  di Gino Sabatini Odoardi, a partire dalla grottesca nostalgia “culturale” (dell’accettato fondo cattolico) della transustanziazione, così elegantemente postasi praticamente da sempre, col titolo non fuorviante dalle intenzioni filosofiche ed altresì poetiche: Progetto per impossibilità espressa. Nome dato a un “ciclo” che praticamente si svolge dal 1982 (disegno per un Progetto per impossibilità espressa: una scena  di tre bicchieri in un deserto che sembra tratta dalle tentazioni di un film di Dalì/Bunuel) al 2000, e  culminante a mio avviso nel Souvenir de Lourdes, col quale Gino Sabatini Odoardi passa a un altro mondo: quello della flagrante risatina di Meret Oppenheimer che richiesta nel 1970 di realizzare un multiplo del suo Dejeuner en fourrure del 1936 - vulgatim: Tazza foderata di pelliccia -, fece un Souvenir du Dejeuner en fourrure  (Andenken an das Pelzfruhstuck), rappresentato da una tazza, piattino e cucchiaio ritagliati in una finta pelliccia ed incollati dentro un ovale kitch con finta cornicetta oro e finto mazzetto di fiori in plastica sotto.

Delle azioni e degli arredi di Gesù (più che cattolici) rimette in scena pane e vino, corpo e sangue, moltiplicazione, abbondanza, serialità: ma come non cogliere un processo che ha funzionato (e continuato funzionare) associativamente al momento delle prime scelte dell’artista “da giovane”?  Pane/Manzoni, bicchiere/Morandi, gouache parola/Bochner, mano/Pasolini, acqua/Lourdes, Madonna/De Dominicis, Coca/cola/America, America/Burri, Burri/Caravaggio.

Ecco i nuovi cicli: Aureole, come cerchi sbavati impronte lasciate da un bicchiere; i Sottovuoti (“nudi”, “rossi”, “terre”), racconto di Cesare Brandi delle “plastiche”!; Tra le pieghe ( l’Annunciazione di Caravaggio, il Rossoplastica di Burri, l’Achrome di Manzoni, le Stoffe di Katzuo Tanaka!).

Può anche darsi che tutto ciò non ci sia, che sia una allucinazione!

Ma è certo perfetta la evocazione/omaggio alla Marguerite Yourcenar delle Memorie di Adriano, un’autrice che per Gino Sabatini Odoardi fa da catalizzatore della propria certezza poetica.

Il colore, rosso, la materia, vino, la temperatura, caldo, la percezione, sangue, la metamorfosi: nel corpo: rileggendo la Yourcenar, rivelandone attraverso frammenti il processo, Sabatini Odoardi afferma una idea di arte che appare essere di nuovo  metamorfica, transustanziale, per il fatto stesso di farsi, ma con la difficoltà di scindere ciò che è stabile da ciò che diviene. La Yourcenar riesce a far rivivere il mnemonico e il sentimentale, attraversando e trasformando in scrittura esperienze fisiche, rinascendo continuamente.

Questa potrebbe essere una lettura possibile anche del lavoro stesso di  Sabatini Odoardi, fatta salva una certa pseudomistica leggerezza un certo benvenuto svincolamento dall’ideologico.

Prendiamo gli ultimi  4 lavori e attenti al bassissimo  giochetto dei titoli!

Perdersi dentro un bicchiere d’acqua, dove l’elemento permanente è l’acqua colorata all’anilina pascaliana, quello diveniente è il perdersi stesso; Si beve tutto ciò che si  scrive, dove l’elemento permanente è la strutturazione neo-plastica dei calici sulle mensole a parete e l’elemento del divenire ineluttabile è per tautologia il bere tutto; Inchiostro materno , infine (come “Mozzarella in carrozza”?), dove l’elemento permanente è solo il succhiare il biberon, e quello cancellabile è indubbiamente l’inchiostro in esso contenuto, il/i messaggi codici acquisiti e ipso facto spariti.

 

Roma, Maggio 2003

 

* Testo critico pubblicato sul libro monografico "Controindicazioni", nella collana del MLAC artisticaMente  n. 14, raccolta di saggi, documenti ed interviste a cura di Simonetta Lux e Domenico Scudero, ed. Lithos, Roma, 2003, pp. 7 - 11 in occasione della mostra personale “A boccaperta” a cura di Maria Francesca Zeuli (7 Giugno -  27 Giugno 2002), MLAC Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Università degli Studi “La Sapienza” - Roma,