SIMONE CIGLIA

"UNA LETTERA"

 

New York, domenica 7 marzo 2010

 

Caro Gino,

la prima volta che ho visto la serie delle Termoformature ho pensato che fossero l’esecuzione materiale di un rumore bianco. Il relé che è scattato nel mio cervello ha messo in relazione queste opere con il libro così intitolato scritto da Don DeLillo nel 1985: in un primo momento mi è sembrato soltanto per ragioni formali, successivamente mi sono accorto che le tensioni erano più profonde. Nel romanzo – ambientato in una cittadina del Midwest americano - si racconta di un incidente chimico che provoca la formazione di una nube tossica. In una delle scene iniziali il protagonista Jack Gladney, professore di studi hitleriani presso il college locale, incontra al supermercato il suo collega Murray Jay Siskind. Quest’ultimo ha riempito il suo cestino di prodotti generici e non di marca:

È la nuova austerità – disse. – Imballo insipido. Mi attrae. Mi sembra non soltanto di risparmiare soldi, ma anche di dare un contributo a una sorta di consenso spirituale. È come la Terza guerra mondiale. È tutto bianco. Ci porteranno via i colori per usarli nello sforzo bellico.  

Siamo al culmine dell’era reaganiana e del suo consumismo, e in questo senso il libro è diventato un’epitome del postmoderno. Invece l’universo degli oggetti che entra materialmente nella tua opera e che la abita mi sembra perennemente sottratto a questo ciclo del consumo che divora tutto.

Ma c’è un livello più nascosto e invisibile. Dal punto di vista fisico viene definito rumore bianco un particolare tipo di rumore contraddistinto da mancanza di periodicità e ampiezza costante su tutto lo spettro di frequenze. Si ritiene che esso abbia proprietà distensive e pertanto generatori di questo rumore vengono utilizzati per coprire il rumore di fondo. Questa proprietà terapeutica mi pare appartenga anche alla tua arte. Con essa affermi la necessità del silenzio. Non per nulla hai dedicato la tua tesi di laurea a questo, una condizione che nel nostro tempo è sempre più assente. In una occasione hai proposto una nuova appercezione dell’opera d’arte, che interessi l’udito e non la vista; altrove hai parlato di rumore retinico come ciò che si deve evitare. Ma in ultima istanza l’essenza disvelata di questo rumore bianco che accompagna costantemente l’intero corso della nostra esistenza è un’altra. Questo rumore bianco è la morte.

 

- E se la morte non fosse altro che suono?

- Rumore elettrico.

- Lo si sente per sempre. Suono ovunque. Che cosa tremenda!

- Uniforme, bianco.

 

Con affetto

Simone Ciglia

 

New York, 7 marzo 2010

 

* Lettera inviata da Simone Ciglia a Gino Sabatini Odoardi il 7 Marzo 2010, contributo inedito, New York, 2010. Testo pubblicato sul libro monografico “Postumo al nulla”, a cura di Francesco Poli e Massimo Carboni, ed. Lithos, Modena, 2010, p. 208.