MARIANO APA

"LA LEGGEREZZA DEL PENSARE" *

 

Situata sulla soglia del nuovo decennio, volto ad aprire con il secolo la coincidenza con un nuovo millennio, l’opera di Sabatini Odoardi si dimostra tra i pertinenti esempi di quella ricerca che con naturalezza – si potrebbe dire – raccoglie dell’arte il miglior lascito dei decenni trascorsi e viene a mostrarsi gravida di speranze, pur nel panorama constatato quale deserto di un eclettismo volto a giocarsi le proprie carte tra la solitudine delle secolarizzazioni e i rumori delle furbizie. Tra il 1988 all’ex Chiesa Baronale di Roccamorice e il 1998 all’ex Convento delle Grazie a Alanno, è documentato Sabatini Odoardi ad ordinare in una elegante sintassi espositiva l’esuberante incrociarsi di plurali sollecitudini volte a sedare la pirotecnica intelligenza del proprio esprimersi. Non si tratta di essere giovani, si è trattato, infatti, di diventare maturi restando freschi e creativi. In quanto le proprie pulsioni dell’intuizioni diventando strumenti operativi a confermare le capacità linguistiche della messa in opera della condizione culturale in cui l’artista viene a identificarsi. Così Sabatini Odoardi detta immediatamente il proprio viatico artistico, là dove la ricerca si adopera a recuperare la strumentazione della Neoavanguardia e a imporla nelle verità del proprio vissuto contemporaneo. Incrociando Mauri e Bene, il giovane artista di Pescara verifica le immense possibilità della strumentazione concettuale. Ma di quella storica impresa – Mauri / Bene: e, si presume, di “tutto il circondario” – Sabatini Odoardi si ritrova certo ad aderire alla linguistica “messa in opera dell’opera” – quell’impaginare, ovvero, l’immagine nel ritmo della sequenza a carattere ora filmico ora ancestralmente decorativo -, e certamente, altresì, ancora persegue un impegno del disegnare che viene ad imprimere la forza della immagine proposta. L’immagine decide la deflorazione del significato e in quanto imposizione del valore aggiunto della propria giustificazione. Si tratta, dunque, che l’immagine esprime la propria intima costituzione ideologica che appartiene alla modalità del proprio formarsi. Ma Sabatini Odoardi perviene ad una propria concezione di poetica per via di una “messa in posa” in quanto “messa a nudo” di quel “valore aggiungo” della identità dell’opera. Ovvero, quel “valore aggiunto essendo il dato ideologico del lavoro artistico, il giovane artista riconosciuto il valore storico culturale, gli permette di librarsi, di volare, di trasmutarsi in “altro da sé”. Non si tratta di disimpegno antiideologico. Si tratta che la pratica artistica perviene a tradurre il dato ideologico in dato poetico. Non si tratta di impegnarsi nella volontà di potenza dell’essere ideologico, si perviene, invece, ad un dato emozionale del valore linguistico della strumentazione operativa. Non si abdica al pensiero forte dell’immagine, si perviene, invece, al pensiero della forza dell’immagine per via di una poetica disposizione sintattico celebrativa. La messa in opera è una messa in esposizione che rappresenta le verità dell’immagine. Così il giovane artista di Pescara realizza una sua propria originale poetica, là dove la costante attenzione all’identità forte dell’immagine esprime la realtà della giustificazione dell’immagine per via di una “messa a nudo” – dal sapore addirittura duchampiano – che sostituisce all’ideologia la realtà del vissuto esistenziale. La aggressiva manifestazione ideologica diventa l’ascolto di una esistenza dei vissuti carpiti in indicazioni di forte partecipazione emotiva ad implicare addirittura la possibilità della dissacrazione e dell’ironia. Senza cedere al ludico e senza abdicare alla responsabilità etica della propria strumentazione artistica, l’artista edifica il senso dell’immagine per via di un pensiero che è presenza giustificatrice dell’identità dell’immagine. L’immagine esplicita la leggerezza del pensare. Perché la consapevolezza critica del pensare edifica e conferma la eticità dell’argomento concettuale depurandolo dal sistema ideologico di una volontà di potenza scoperta e verificata quale realtà vana e, se citata o ripensata: dimenticata e non più in essere. Le opere di Sabatini Odoardi vengono a comporre nella capace pratica linguistica dei materiali, un saporoso e profumato corpo della scena “rappresentata”. La scena del lutto o dell’eros, o della dissacrazione, apre alla visione antiteatrale della realtà del quotidiano. L’immaginario del giovane artista di Pescara, si declina nello spazio del pensiero e nel tempo del vissuto, e viene a costituirsi là dove il vedere è la sapienza della leggerezza. Una leggerezza che esprime la verità del disincanto e della affabulazione, in un’opera che nella consapevolezza del suo pensare ribadisce nella propria leggerezza le verità non ideologiche della fenomenologia dell’esistenza.

 

Roma, Gennaio 2010

 

 

 

Testo critico pubblicato sul libro monografico “Postumo al nulla”, a cura di Francesco Poli e Massimo Carboni, ed. Lithos, Modena, 2010, pp. 194 – 195.