GABRIELE SIMONGINI

“CORPO NELLA MICROGALLERIA”

 

Allo stato attuale delle cose nel mondo dell’arte è ormai in eludibile una resa dei conti, fondata sulla chiarezza e sulla volontà di uscire fuori dal solito circolo noioso degli addetti ai lavori che usano un linguaggio incomprensibile e vanesio adatto a far vedere “quanto sono bravo io”.

Prima di tutto, troppe parole senza opere. Suona come profetico e quanto mai attuale il celebre ammonimento di Paul Valéry: “Bisognerebbe sempre vergognarsi di parlare d’arte”. Fiumi di parole, autocelebrazioni, cervellotiche elucubrazioni cercano di dare sostanza a presunte creazioni fatte di niente ed erette a simulacro dell’insignificante. Le “opere” che per esistere hanno bisogno di spiegazioni e teorizzazioni a priori, ma che in pratica non sono percepibili nella loro autonomia formale, non hanno diritto ad essere considerate opere d’arte visiva. E’ l’ora di dire basta ai trattati di sociologia o antropologia visualizzati in lavori che nulla hanno di artistico o di estetico.

In questo contesto la Microgalleria dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila è una pregevole occasione di confronto e di dialogo sul terreno fecondo della didattica, con un invito complessivo alla chiarezza morale ed artistica. E, nonostante le apparenze dicano il contrario, funziona bene anche l’attuale incontro tra il lavoro di un ex studente dell’Accademia come Gino Sabatini Odoardi, artista già maturo e dal valido curriculum e la ricerca in progress di una studentessa come Serena Micantonio. Ciò che li unisce, pur tra le forti differenze, è un’attitudine energicamente analitica eppur mai ridotta a puro e glaciale concetto ma inverata in un messaggio visivo perentorio e trasparente. La componente riflessiva in entrambi si visualizza compiutamente, diventa autonoma rispetto a qualsiasi commento o a qualsiasi illustrazione verbale.

Gino Sabatini Odoardi con il suo “Cullarsi” ci mette spietatamente di fronte a un tabù, ad una riflessione sulla morte che scardina i luoghi comuni del nostro conformismo mentale. Siamo costretti a guardare ciò che non vorremmo mai vedere per meditare anche noi sul cerchio che unisce inevitabilmente vita e morte, bianco e nero, culla e bara, luce e oscurità. Quelli che sono, nella nostra logica quotidiana, estremi agli antipodi, giungono ora ad identificarsi. Gino Sabatini Odoardi parte da una famosa riflessione di Alberto Savinio ( “Bisogna guardare in una bara come si guarda in una culla”), ricamata dentro la culla dipinta di nero all’esterno e di bianco all’interno, ma in qualche modo  annulla il filo di speranza che pur alberga in quel pensiero e che appunto allude alla morte come nuova vita. L’artista non ha infatti scelto una bara da trasformare in culla ma ha fatto il contrario, portando in un contesto funerario proprio l’oggetto-simbolo della vita e dell’infanzia. Ha annichilito ogni speranza perfino nel ritmo iterativo delle trentasei culle disegnate, sbattendoci in faccia la sua tragica verità. Ha messo in crisi le nostre certezze più profonde per non farci  cullare in comode illusioni.

Al contrario di Gino, Serena Micantonio è ancora nel bel mezzo di un percorso didattico in progress, come è ben evidente. Nell’opera “In nomen” la sua vocazione analitica si concentra su due ambiti: il primo, personale, propone una riflessione sulla propria identità e perfino sul proprio nome; il secondo dà vita ad una meditazione sull’eredità dei coltissimi ed acuti “fumetti” di Roy Lichtenstein, il pittore massmediatico per eccellenza. Dopo infinite prove cromatiche e compositive Serena è arrivata a  conquistare un proprio autoritratto sintetico e comunicativo, sospeso fra realtà ed artificio elettronico. Ha soddisfatto un’esigenza di autochiarificazione anche esistenziale, prima che artistica. E’ un’immagine speculare che va guardata allo specchio per leggere il pensiero che l’affianca: “ da sempre desideravo conoscere la differenza tra un segno che va considerato arte e uno che non può essere considerato tale”. Serena ha dunque acquisito una fondamentale consapevolezza che d’ora in poi le sarà molto utile.

In qualche modo sia Gino che Serena vogliono restituire all’immagine e all’oggetto estetico una dimensione simbolica. Così reagiscono al virus letale che infesta la nostra società e che è stato pregevolmente registrato da Jean Baudrillard: ” Tutte le cose, private del loro segreto e della loro illusione, sono condannate all’esistenza, all’apparenza visibile, sono condannate alla pubblicità, al far-credere, al far-vedere. Il nostro mondo moderno è pubblicitario nella sua essenza”. E ancora: “ Quella che oggi chiamiamo arte sembra dare testimonianza di un vuoto irreparabile. L’arte è travestita da idea, l’idea è travestita da arte”. A noi tutti spetta  l’onore e l’onere di dimostrare il contrario.

 

Roma, Ottobre 2004

  

* Testo critico pubblicato sul catalogo "Corpo nella Microgalleria"  ed. Accademia di Belle Arti, L’Aquila, 2004, p. 3 - 4 in occasione della mostra personale “Cullarsi” a cura di Anna Maiorano e Cristina Reggio (19 Novembre - 15 Dicembre 2004), Microgalleria, Accademia di Belle Arti, L’Aquila.