DANIELA PIETRANICO

"DISPIEGAMENTI"

 

Il lavoro che Gino Sabatini Odoardi (1968) porta avanti da decenni è sempre stato un lavoro di ricerca ed approfondimento estetico sulla vita e sull'arte. Egli partendo spesso da forme semplici e oggetti di uso comune, ha percorso un tragitto iconografico ampio e complesso che lo ha portato negli ultimi anni a cimentarsi con una figura - parola - antica e ricca di significati, quella della piega.

Nel progetto installativo DISPIEGAMENTI (2016) l'artista realizza in forma di una selva una suggestiva opera allegorica del mondo, mette in atto un'operazione di concatenamenti visivi e concettuali, costruisce  un insieme di immagini del pensiero.

Ispirandosi letteralmente al testo “La piega, Leibniz e il Barocco” del filosofo francese Gilles Deleuze (1925-1995), egli propone una riflessione sul problema della libertà umana e sul ruolo dell'artista come “amico della saggezza”, “pretendente della saggezza”, nel momento in cui arte e sensazione diventano due facce reversibili della stessa medaglia e  – tanto il sensibile in quanto tale, quanto l'opera d'arte (o la filosofia) - abbandonano il riconoscimento per porsi nella dimensione dell'incontro di ciò che costringe a pensare,  in quanto fa problema e in quanto pone la domanda.

Attraverso la metafora della piega - tratto distintivo del Barocco dove questa viene portata, piega su piega, all'infinito a tal punto da scinderla in due infiniti dislocati su due piani, quello dei ripiegamenti della materia e quello delle pieghe dell'anima -  Deleuze scopre analogie e connessioni tra il pensiero del filosofo tedesco Leibniz (1646-1716) e la nascita e lo sviluppo della cultura moderna ed è proprio nell'età barocca che egli rintraccia i germi della modernità e della contemporaneità. Si tratta di un libro che presuppone una conoscenza profonda della storia della filosofia e della scienza ma che nella sua indagine si svela ricco di spunti e di suggestioni, capace di  trovare tracce sommerse e interconnessioni tra le varie epoche della storia e della cultura seguendo la “piega infinita”.

Quella piega plastica e continua - che in ambito geologico definisce una deformazione duttile in seguito a forze di compressione distribuite non omogeneamente di masse rocciose stratificate, la cui giacitura originaria era orizzontale - è la stessa piega che nel lavoro di GSO viene plasmata nel corso di pochi attimi nei quali la lastra di polistirene, rigida e orizzontale prima, con il forte calore diventa morbida e cede alle pressioni esterne ed alle curvature imposte dalle esperte mani congelandosi in un drappo dalle sembianze sinuose e avvolgenti.

Con una serie di 24 panneggi bianchi termoformati in polistirene sospesi al soffitto da altrettante corde nere e 12 piccoli disegni a parete, GSO allestisce un bosco deleuziano del pensiero quindi, e ci suggerisce una visione di continuità nel mondo infinita su tutti i piani. “Il labirinto del continuo nella materia” si collega direttamente al “labirinto della libertà nell'anima”. Emerge così un grande meccanismo: una struttura tipicamente barocca che trova il suo equivalente architettonico, secondo Deleuze, nello Studiolo di Firenze, oppure nell'Abbazia di la Tourette di Le Corbusier.

Questa costruzione è dotata di un piano basso, illuminato, munito di finestre e di un piano alto, buio o quasi buio, chiuso e privo di porte o finestre. Il primo, che è poi il piano della materia organica ed inorganica, corrisponde all'esterno, alla facciata, dove ogni forma subisce un'inflessione, una curvatura, una piegatura, una metamorfosi. Il secondo, cioè il piano delle anime, è chiuso come si è detto ma risonante: esso fa risuonare la musica del mondo, “come una sala di musica che fosse in grado di riprodurre in suoni i movimenti visibili dal basso”.

L'anima è condizione dell'essere per il mondo; pura psyché di un eterno movimento di inclusione che, in questo senso, esprime il mondo: essa rappresenta finitamente l'infinità del reale. L'illimitato nel finito, il mondo della monade, la parte infinitesimale, che per Leibniz è centro di forza, sostanza individuale, singolarità irriducibile, unità che contiene, che avviluppa la molteplicità, la quale a sua volta “sviluppa l'Uno in guisa di una serie”. Dall'inorganico all'organico, dall'organico al percepito: in ognuno di questi livelli la monade è costituita da pieghe. Le pieghe garantiscono, senza salti e discontinuità, il passaggio da un piano a quello superiore. Ai ripiegamenti della materia corrispondono le pieghe dell'anima.

“Il chiaro si immerge sempre nello scuro. E il chiaroscuro riempie la monade, secondo una serie che si può percorrere nei due sensi: a una estremità il fondo scuro, dall'altra la luce sigillata; quando quest'ultima si accende, produce il bianco nel quartiere riservato, ma il bianco si ombreggia sempre di più e fa posto all'oscuro, a un'ombra sempre più spessa, via via che si espande nell'intera monade verso il fondo oscuro ”, scrive Deleuze. E ancora “Il dispiego: non è  certo il contrario della piega, né la sua cancellazione, ma la continuazione o l'estensione del suo atto, la condizione del suo manifestarsi.”

GSO mette in mostra uno schieramento, presenta al nostro occhio – organo indeterminato polivalente che attraversa vari livelli intensivi del corpo –  concentrazioni di pieghe in spiegamenti vistosi. Scrive Joseph Kosuth in “L'arte dopo la filosofia”: “Nella percezione gli occhi non sono più importanti di quanto essi vedono, perchè è la mente ad organizzare la funzione di entrambi e il genere di significato, attribuito a quanto è visto, è stato stabilito molto prima che si guardi. La creazione di qualcosa di nuovo da guardare è un atto futile e vuoto se gli occhi sono il suo unico pubblico”

I disegni che Deleuze schizza nel testo sulla piega vengono riprodotti da GSO come ombre sul bianco polistirene, immagini del pensiero, segni che, come una linea mobile, intrecciano dei punti fissi con le variazioni, al fine di aiutare la comprensione, di dispiegarla. E questo termine indica o meglio ha indicato fino a tutto il secolo scorso il capire ciò che è difficile da comprendere. Come forse in questo caso. Ma quando l'arte va al di là della rappresentazione, cioè quando l'oggetto artistico non riflette più l'unità di coscienza del soggetto, ma si rapporta al divenire, si apre lo spazio di un ricongiungimento tra l'arte stessa ed il sensibile, anzi tra l'arte e l'insensibile che non può che essere sentito. Solo di fronte alla pura presenza di un segno, che non è già dispiegato all'interno di una rappresentazione, ma che piuttosto ha in se una estraneità di fondo per cui anche un oggetto familiare ci appare irriconoscibile e perturbante, solo di fronte ad un segno che è geroglifico e non già logos - che è quindi differenza preliminare del concetto -  solo lì abbiamo la possibilità di fare degli incontri che costringono la sensibilità a sentire, il pensiero a pensare.

 

Roma Maggio 2016

 

* Testo critico pubblicato in occasione della mostra personale "Dispiegamenti" curata da Antonio Arenalo e Daniela Pietranico, Alviani Artspace / Aurum, Pescara. Dal 07.05.2016 al 25.06.2016.